miércoles, 24 de junio de 2009

Si no valoras a un niño, no tienes una responsabilidad con respecto a él; si no valoras la razón y quien la demuestra, no tienes una responsabilidad con respecto a ella; y, como resumen, si no valoras la realidad, no tienes una responsabilidad con respecto a ella.
Así que, sin afrontar una responsabilidad, NO EXISTE ÉTICA, ni algún principio, sólo la más grave violencia de aniquilar lo que desaprueba el egoísmo.



Si alimentas, consientes o sobrevaloras a los que dicen que "dos y dos son cinco" -para que sigan manipulando en los medios de comunicación- y NUNCA al que demuestra que "dos y dos son cuatro" pues, entonces, no tienes integridad moral y, también, manipulas -por muy bueno que te vendas o que te consideres o que aparentes- en complicidad (y pisoteas, sin duda, lo que es la dignidad).


Un español dice -ÉL-que él está muy bien y sereno; ¡hombre!, por supuesto, cuanto mejor "se está" en el sofá -o a favor de la corriente injusta beneficiosa- también más sereno -e inmovilidad mental-. Aunque, cuando se reciben injusticias ese mito de lo estoico-pétreo y de la inalteridad emocional no puede ser, no; es decir, nunca una persona inteligente en la historia ha estado sereno (porque la conciencia ya es movimiento de producir remordimientos -o de aplicar principios-, de dudas, de preocupaciones, de bastas, de protestas, de desasosiego al fin y al cabo), pero otra cosa es el no dejar de ser justo, de ser no violento, de ser tolerante, etc. Si tú ayudas a la sinrazón, estás exterminando la dignidad misma. El que ha destruido tanto no se acuerda de lo que ha destruido; pues, para un "tanto" hay que tener mucha memoria y mucha conciencia del tener mucha memoria, ¡algo imposible!: los HdP siempre se salen con la suya. En un juego limpio contra un juego sucio siempre gana el juego sucio por su "todo vale"; por ejemplo, uno está toda la vida para hacer un gran jardín y, otro, con un simple encendedor o con su crueldad -sin más- lo quema en varios segundos.


Los cínicos suelen pasar por santos; y siempre son premiados. Sin embargo, el que es ético, tiene que cumplir decenas de principios, de restricciones, de renuncias -de obligaciones morales- con efectos de desgaste y que, además, conllevan "antipatía" frente a la corriente cínica machacante.


Defender que un ser vivo no sufre debería tener por obligado la pena de cadena perpetua (en esta sinrazón sí), pues es la más cruel apología del terrorismo: un exterminio absoluto de la dignidad de un ser vivo (¿quién es quién para sentenciar que otro ser vivo NO sufre?).


Ni el placer ni el dolor se pueden medir en exactitud, de una manera científica; por lo tanto, siempre es científico el demostrar la presencia de placer y de dolor como reacciones o como mecanismos de supervivencia -o simplemente como propiedades en diferentes condiciones o circunstancias- en todo ser vivo, pero su medición exacta es ya algo.. acientífico.

domingo, 21 de junio de 2009

TRES ARTÍCULOS EN ITALIANO



LA COSCIENZA
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L’immagine percepita trascende – una volta memorizzata, ma il concetto cognitivo – simbolico, associativo – trascende ancor di più, soprattutto perché l’immagine lo fa soltanto attraverso un mezzo associativo (negli esseri viventi in genere ciò che si associa è lo stimolo).

L’intelligenza umana “riduce” per mezzo di concetti una cosa reale, cosa che è oggetto di attenzione e viene aggiunta all’esperienza intelligibile dell’uomo. Per tanto, l’intelligenza riduce, “codifica”, sintetizza, come fa qualsiasi essere vivente con ciò che gli è di stimolo, necessità, conformazione propria. Così elabora la propria realtà, assoluta e unica, in maniera progressiva.

Chiaro che ciò fa sì che la percezione sia in un primo momento selettiva, determinata cioè dalle condizioni concrete di necessità a priori che ha il soggetto, rispetto a quanto che l’esterno – l’intorno – lo stimola e lo incita ad evolvere, ad ampliarsi, ad adattarsi insomma. Per chi vuole intendere: il fattore selettivo nella percezione è nettamente una reazione, un adattamento obbligato da criteri basici di necessità di fronte a ciò che l’intorno già di suo “dà” senza rispettare tali criteri, in modo successivo, casuale e incontrollabile (Hume li considerava fattori successivi o fenomeni; ma, in confusione, negava loro la condizione percettiva e tale casualità della percezione).

Ciò nonostante, nell’essere umano – propiziato dal linguaggio, la reazione percettiva si è adeguata al concetto – al simbolo, alla motivazione concettuale, cosa che lo ha portato ad essere dipendente da tale capacità e in/per quel contesto, nonché suo modellatore e responsabile: insomma, cosciente.

Quando egli crea il concetto, c’è già stata intenzione e, inoltre, allo stesso tempo... comprensione – coscienza – paulatina della propria opera, del proprio protagonismo.

È lui che si protegge con e dalla realtà con una reazione percettiva che concerne ciascuna delle sue emozioni, che la radica e la determina per la sfera sociale; vale a dire che questo fatto costituisce per lui un’innegabile “struttura a priori” che comporta un protagonismo condizionante e – come no – causale, quello inerente alla responsabilità.

Perciò non esiste coscienza che non sia responsabilità, che non sia concettualmente propria e di ciò che concettualmente trascende, esortando un proprio protagonismo emozionale di permanenza in certi “valori” morali o etici.

Inoltre, il solo essere responsabile scatena o implica una discorsività di alcuni valori etici ineludibili o, più chiaramente, che tendono a proteggere la sfera cui sono sottomessi.

Nella vita, l’essere umano cerca di mitigare in modo emozionale le carenze che distingue concettualmente, carenze che trovano risposta solamente in ciò che l’uomo stesso ha previamente stabilito (la pace in contrapposizione alla guerra, la speranza per rafforzare l’ansia di vivere, la giustizia per dare dignità alle azioni n vista di una socialità ottimale, ecc.).

Tutto ciò avviene perché l’uomo è inquadrato nella responsabilità o, per concludere, perché a spese di una volontà concettuale può estendersi in tutto ciò che implica responsabilità, in tutta coscienza.

NOTA.- La coscienza non preesiste all’etica, né questa preesiste al proprio carattere sociale.



EGOISMO E DISPREZZO
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Noi tutti sismo inquadrati nella sfera sociale, nella socialità; siamo una sintesi del naturale e del sociale; per questo abbiamo due dimensioni o forze primordiali che muovono il nostro agire: l’ego – più generico di quello considerato da Freud, insieme all’ “io” e al “super-io” – e il condizionamento sociale di questo ego, la sua “predeterminazione” all’inibizione sociale.

L’ego è la forza dell’essere, del soggetto che interiorizza – nel caso dell’uomo – la forza sociale; in esso prevale un senso di immobilità di ciò che si verifica nella sfera sociale; ciò nonostante, l’ego delibera tale immobilità rivolgendosi a ciò che lo può proteggere, per mezzo di una scelta o selezione – necessaria – di difese. È così: decide di determinarsi con un comportamento autoprotettivo.

Come risultato di ciò, l’ego acquisisce una propria personalità, ma la sua ansia di autoprotezione lo fa sentire sempre “incompleto”, in stato d’allarme per insufficienza, in allerta per il timore di perdere – o avvertire come insufficiente – il proprio sistema d’interiorizzazione – questo nel caso di colui che lavora direttamente soltando sulla propria fiducia o la propria psiche.

Vale a dire che l’ego sente sempre incompleta la propria interiorizzazione e così si lancia in una “dimensione” vorace per sperimentare e sperimentarsi; in questo modo si salvaguarda senza interruzione, in questo modo pure preserva istintivamente il proprio territorio.

Ma nella sua azione tutto ciò che l’ego fissa secondo criteri di protezione si ripercuoterà inmediatamente nella sua modellazione sociale, si tratti anche di semplici fobie o parallogismi che sottovalutano l’altro in dignità, dato che la fissazione può essere appianatrice, atavica, chiusa.

Non è inutile dire che l’ego esonera – o tende a farlo – dall’analisi e dalla riflessione nei modi che gli vanno bene, che gli hanno preservato fino a quel momento dei privilegi – ben al di là dell’etica; cioè: tutto quanto è con lui lo porta al sentimento dell’apprezzamento; ma quello che è “altro” gli rimane strutturato per il sospetto, l’allarme e, irrimediabilmente, per il disprezzo.

Il disprezzo è la radice e la base della crudeltà; attraverso il disprezzo passano la mancanza di empatia, l’incapacità di accettare soluzioni comuni, l’incomprensione del fatto che l’altro sia uguale quanto a diritti, la giustificazione di sistemi non egualitari[1] e l’inamovibilità dei privilegi, la superbia, l’intolleranza, ecc.

Il disprezzo spunta sempre in modo incosciente quando l’altro ha altri gusti, un’altra ideologia, un’altra cultura, un altro modo d’amare; quando l’altro non rivendica le stesse cose, non si piega a dare l’ultima goccia di sangue per una patria precisa – e non per le persone, quando l’altro non obbedisce all’amore violento, non tace sull’ingiustizia che il primo invece passa sotto silenzio – perché in qualche modo lo favorisce nella propria immagine o in quella che egli rappresenta - o non ammette l’orrore che il primo organizza.

Si disprezza principalmente perché il pensiero non si vincola ad un’etica chiara – non confusa o di diversi pesi e misure, ma a pregiudizi a seconda di da che parte si possano salvare orgogli, capricci ed ossessioni, vendette patriottiche ed ideologiche; perché il pensiero non si vincola a non giustificare privilegi economici mentre altri muoiono di fame; infine, perché non si vuole riconoscere[2] che tutti, assolutamente tutti, abbiamo gli stessi diritti in quanto persone.

Nota: La lotta antiterrorista non esisterà né ora né mai finché sarà patrimonio di parte, finché si promuoveranno guerre o discriminazioni sociali.



LE COSE E LE LORO FORME
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Le cose comportano dei principi, delle interazioni e uno sviluppo. Esistono perché si è permesso che esistano. Non sono immobili perché l’immobilità non esiste. Ciò che esiste è in quanto integra qualcosa, consiste in qualcosa, perché succede, capita : è un dato di fatto.

Qualcosa che è non è libero dalla propria esistenza, non è solo in sè e per sè, non è un immobilismo privilegiato che sostiene un netto “di per sè” e neppure sostiene il nulla. Le cose sono esistenze nel modo in cui vogliono essere e nelle forme in cui vogliono essere ; comportano modi di esistere e possibili combinazioni ; non possono prescindere dalle forme, dal momento che dalle forme stesse derivano o sono di esse conseguenza.

Nulla si trasforma in forma dal nulla e col nulla, ma da e con qualcosa già esistito; per tanto, permangono essenze di quel qualcosa già esistito, che così continua ad esistere in altra forma nella sua essenza permanente.

Le forme ostentano e sostengono l’azione, e naturalmente l’esistenza, l’essere che agisce: infatti un essere non può esistere senza agire: l’esistenza è presenza[1], azione.

Dunque, l’essere umano misura le forme, ma non misura le essenze: queste non si possono misurare perché sono spesso vere e proprie leggi o assiomi, principi irriducibili.
Sì, tutto scorre, ma è sempre un qualcosa quello che scorre.

L’essere umano pensa alle forme, le decide per costruire più cose come gli conviene, le approva o le disapprova; per questo dice che sono variabili – e lo sono – e manipolabili perché egli le manipola rispetto ad alcune potenzialità concrete. È così, egli è parte integrante della realtà e così, come no, interagisce per rendere possibili le forme. Sintetizza a modo suo la propria maniera come fanno ad esempio le piante con la luce del sole, o, in genere, dell’ambiente circostante.

Sì, tutto passa, ma sempre attraverso una via di mezzo, una forma; e un qualcosa passa e passa in forme successive. Ognuna di esse è allo stesso tempo possibilità e per essere stata già possibilità, come possibilità o potenzialità della realtà esiste.

E ancora: la realtà non esclude niente che esista, nessuno dei suoi elementi, perciò nessuno di questi è relativo ma sono tutti assolutamente imprescindibili; non si possono ridurre, non si possono negare, perché irrimediabilmente danno il via - o mediano - la base del tutto.
Non sono fatti per i capricci del negare.


José REPISO MOYANO
(trad. Cinzia Rizzotto)